Interviste

Le librerie indipendenti come “presidio di civiltà”. Intervista a Catia Gabrielli, libraia di Fahrenheit 451

Librai ed editori non sempre parlano la stessa lingua. Spesso sono distanti, quasi alieni. In un momento di crisi del settore editoriale come questo, diventa però necessario fare uno sforzo per provare a capire le ragioni dell’“altro”. L’urgenza diventa parlarsi. Per riconoscersi. Per collaborare. Per stringere un’alleanza quanto mai necessaria.

Basalto Edizioni ha cercato e voluto da subito un filo diretto con le librerie, da qui nasce l’idea di trasformare questo dialogo in un’intervista per conoscere meglio la storia di chi, per mestiere, consiglia storie. E siamo contenti di fare il primo passo con Fahrenheit 451, storica libreria del centro di Roma.

Di librerie Fahrenheit ce ne sono diverse in Italia, ma mi dicevi che questa è la prima in assoluto, allora come, quando e perché è nata Fahrenheit 451?

Fahrenheit è nata nel giugno del 1989, secondo me l’inaugurazione è stata il 29 giugno, adesso non ricordo, sono passati tanti anni, più di trenta. Ero molto giovane, non avevo esperienza di questo mestiere, perché continuo a considerarlo un mestiere che si impara facendolo. Prima si andava a bottega cominciavi a spolverare e solo lì capivi i titoli, come mettere a posto, catalogare. Vado insomma un po’ controtendenza: ora c’è un fiorire di scuole e corsi, certamente utili, ma che poi indirizzano secondo me a un tipo di libreria standardizzata, omologata, mentre deve esserci la personalità del libraio, i suoi gusti, i suoi interessi.

Come ti è venuto in mente di aprire una libreria?

Io ho sempre frequentato librerie, sempre. Mi infilavo, sognavo di comprare cose che non potevo, ero molto curiosa e all’epoca ce ne erano tante, bellissime, anche le Feltrinelli erano strepitose. Quando uscivo dall’università andavo e vedevo tutti i vari settori, poi c’erano questi scaffali doppi, era un mondo pieno di titoli. Con il tempo però le librerie sono cambiate, ora la nuova tendenza è avere un “supermercato” con le copertine a vista, ma i libri sono di meno nei cataloghi, durano poco e vengono poi restituiti a seconda della vendibilità. All’epoca, quando ho aperto, esistevano persone molto importanti – e devo dire anche colte – che erano intermediari tra l’editoria e il libraio. Venivano stagionalmente e quando portavano questi faldoni pieni di copertinali era un’emozione. Adesso siamo sugli 85.000 titoli l’anno e il libraio non ha neanche il tempo di memorizzare e capire i libri. Tende a scimmiottare, a vedere le recensioni, mentre prima aveva più tempo per prepararsi.

Hai aperto pensando di fare una libreria di settore, arte e cinema?

La mia idea in principio era di fare proprio una libreria specializzata in arte e cinema. Quando ho trovato questo spazio mi è sembrato perfetto e in effetti lo è stato perché questo era un quartiere frequentato da molti artisti. Per una serie di fattori poi Fahrenheit ha avuto una sua notorietà e un suo percorso che ne hanno fatto una libreria storica.

Volevo anche creare uno luogo culturale e devo dirti che ho avuto tante soddisfazioni negli anni. Ho fatto incontri, corsi, presentazioni nonostante lo spazio non fosse proprio enorme.

Quando ho aperto ero una ragazza con pochi investimenti e forse sono stata l’ultima generazione di librai a poter aprire in questo modo, dopo non è stato quasi più possibile.

Quanto conta la posizione per una libreria? Prima dicevi: “Io ho aperto qua, è il posto giusto per aprire una libreria”, perché?

Sì, non so è stato un caso, io ho amato subito la piazza, questa per me è la piazza più bella di Roma, una piazza molto particolare, popolare, ampia… un’ellisse dinamica, che ti chiama a stare dentro. All’epoca c’era un vinaio storico di fronte dove andavano spesso Gregory Corso, Victor Cavallo, era proprio un altro mondo rispetto a oggi, pieno di attori che si incrociavano. Erano studenti all’epoca e ora sono attori e registi famosissimi, Garrone, Favino, tutti sono passati di qua.

Nel tempo quanto e come è cambiata la clientela di Fahrenheit e quanto questo ha modificato anche in parte l’offerta iniziale?

Io penso di essere stata sempre uguale a me stessa. Questo dove siamo noi adesso a parlare (seconda sala) è il cuore, l’anima della libreria, qui ho le arti figurative: arte, teatro, cinema alle mie spalle, fotografia, che è un altro settore che amo molto, quindi ripeto questa è l’anima della libreria, poi davanti (nella prima sala) abbiamo sempre avuto la narrativa, sempre tenuta per casa editrice. Tempo fa erano più evidenti le identità degli editori, potevi vedere la scelta editoriale, il lavoro che c’era dietro, mentre adesso le copertine tendono ad assomigliarsi tutte, sono pochi gli editori che hanno un’identità forte, sicuramente Adelphi ancora…anche se io sono sempre stata molto einaudiana. Giulio Einaudi veniva qui, era sempre un’emozione incredibile quando entrava, proprio l’aura dell’editoria, la storia del ’900 del nostro paese, del pensiero… era una cosa meravigliosa, era un “personaggino” con un carattere particolare, molto polemico, ma affascinante e molto simpatico. Anche Calasso ci aveva nel cuore, diceva sempre che eravamo una bella libreria.

C’è stato un momento in cui le librerie di catena hanno soffocato le librerie indipendenti, ora sembra che invece le librerie indipendenti abbiano ripreso un po’ di fiato, vuoi anche dopo la pandemia, in quel periodo particolare, anche per quel rapporto che c’è con il libraio. Che pensi in proposito?

Penso che siamo molto in crisi, devo dirti però che siamo anche molto resistenti. Ci siamo associati e raggruppati come librerie indipendenti, con qualche libreria di franchising, in ALI Roma e c’è questo desiderio di imporsi con la propria identità. Allo stesso tempo però ci rendiamo conto che stiamo perdendo proprio la nostra identità, se non troviamo un modo per rimanere veramente indipendenti, perché siamo legati mani e piedi alla grande distribuzione che è quella che ha mangiato tutto il mercato. Questo paese ha un’anomalia enorme: i tre elementi della filiera, la produzione, la distribuzione e la vendita al dettaglio, sono nelle mani di due attori unici, mentre invece in passato erano veramente separati.

Questo è un cortocircuito enorme perché d’accordo, noi parliamo sempre di Amazon – che è un gigante che fa il buono e il cattivo tempo – ma per noi librai indipendenti paradossalmente è stato peggio quello che è avvenuto nella filiera editoriale che dicevo prima, con l’egemonia creata da due grandi gruppi del settore. Insomma per noi sono state peggiori due fusioni: Mondadori-Rizzoli, ma ancora di più quella Messaggerie-Feltrinelli, perché Messaggerie nasce come grande distributore mentre adesso è anche proprietaria di case editrici. È insomma sia dentro ALI, sia dentro AIE (Associazione italiana editori). Produce, distribuisce e vende.

Come si resiste, come si combatte questa cosa?

Cercando appunto di mantenersi veramente indipendenti. Io nel frattempo ho capito che devo coprire buchi su cui una superpotenza editoriale non ha il tempo di mettere attenzione.

Per esempio loro hanno i loro siti e chiedono alle librerie – che quindi fanno anche il lavoro sporco – di inserirsi nei loro siti. Io non ci sto e rilancio. Ho fatto un sito personale della libreria www.libreriafahrenheit451roma.com. Nonostante sia ancora in prova devo dirti che già cominciano a chiedermi qualche libro. Non sto neanche su Amazon, certo guadagnerei di più a starci, avrei un altro canale per vendere ma in realtà farei un grosso lavoro per aiutare quelli che hanno fatto in modo che io mi trovassi in questa condizione.

Però ci vuole una forte coscienza d’identità, forse anche una buona dose di pazzia – che mi accompagna da lungo tempo –, di tigna, di non volersi sottomettere. Credo di aver fatto di tutto, ho capito che dovevo stare all’angolo (ride) in difesa e così ho fatto, non mi servo neanche dalla grande distribuzione. I miei colleghi mi hanno detto: “Tu sei pazza, un mese e sei morta, chiudi”. Invece sono ancora qui e adesso mi servo da un distributore indipendente, grossista.

E questo viene riconosciuto dai clienti? E soprattutto c’è un cliente tipo di Fahrenheit?

Non ti viene riconosciuto niente, i clienti ti tradiscono da un giorno all’altro. Diciamo che forse esiste un cliente tipo ma purtroppo molti li perdo, perché in genere sono agè. Ne avevo uno carissimo che purtroppo non c’è più, ci chiamava “la sua quarta stanza”, era molto carino. Veniva e diceva: “Sì, io lo so che tu non puoi competere con questi grandi, quindi io vado a vedere le novità da loro, ma le ordino da te. Perché tu sei un presidio di civiltà”. Lui aveva ben chiaro che cosa voleva dire questa libreria in un contesto come Campo de’ fiori che è circondata da bar e ristoranti, da luoghi di consumo. Tante volte mi hanno detto: “Tu per resistere devi mettere un bar, fare un bar-libreria” io ho sempre risposto, accompagnandoli a vedere fuori “un altro? Anche no grazie”. Tra l’altro è una cosa che non condivido perché questo è un mestiere molto complicato, devi star dietro alla ricerca dei libri… io lo faccio con i miei clienti, a volte vengono con delle richieste assurde, libri vecchissimi… però mi metto lì come un segugio, magari con un po’ di tempo, ma il più delle volte riesco a farli contenti. Ed è un aspetto che mi piace moltissimo perché non fai altro che imparare. Questo è un lavoro straordinario dove impari sempre. Un autore che ti sfuggiva, un libro importante che però è stato dimenticato, allora ti chiedi: “Perché pubblicano come matti e sempre ristampano le stesse cose quando ci sono dei testi di grande forza letteraria che potrebbero essere riproposti?”. Gli editori ormai non pensano più ai propri cataloghi perché dopo un po’ tendono a liberarsi dei titoli meno vendibili.

Qual è per te un testo che tutti dovrebbero leggere?

Guarda adesso sto rileggendo il Don Chisciotte (ride) uno dice “oddio mio”, ma va letto anche da adulti, ci sono dei libri che devi leggere e devi rileggere dopo molto tempo e chiaramente ti aprono altri mondi. Però come faccio a dirti Don Chisciotte e a non dirti, per esempio per chi ama il mondo giapponese, Genji Monogatari, io dico sempre: “Non puoi leggere la letteratura giapponese senza aver letto Genji Monogatari” (ride di nuovo) che è un po’ impegnativo ma quando lo leggi dici “ho capito perché è uno dei pilastri…”.

Ho visto nelle tue teche tante cose belle…

Cambiano però ogni tanto (ride). E ogni tanto soffro anche a darle via perché il libraio, si sa, non venderebbe niente. Alcune non sono proprio in vendita, per esempio quello dove c’è scritto “Catia Love”, me lo ha mandato Ray Bradbury. Anche questa è una storia carina: erano entrati dei suoi amici perché lui non si spostava più, era molto anziano, stava male, però questi suoi vicini di casa lo hanno riempito di foto che hanno fatto qui. Evidentemente a lui Fahrenheit è piaciuta e mi ha mandato questo libro con dedica.

Ti è venuto in mente qualche altro libro da leggere necessariamente?

Un gioiello di uno scrittore praghese, Bohumil Hrabal che ha un titolo stupendo Una solitudine troppo rumorosa. E poi quel libro magnifico che sempre consiglio per quel tipo di letteratura: Ripellino, Praga Magica. Straordinario, se vuoi capire quel mondo, quella letteratura è imprescindibile, non si può non leggere.

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