Il 22 maggio 2024 esce La via del male di Grazia Deledda, primo romanzo della collana bassorilievo. Un tributo a una delle voci più intense del Novecento, capace di fondere radici e modernità, in un libro senza tempo.
La prefazione – di cui riportiamo qui un estratto – è di Emilia Agnesa, autrice, attrice teatrale e insegnante di latino e greco.
Michela Murgia ha scritto che in Sardegna «il silenzio è ancora il dialetto più parlato». E se c’è una scrittrice capace di far parlare i silenzi, questa è sicuramente Grazia Deledda. Silenzi palpitanti che riempiono vallate, boschi, villaggi, un’eco che non smette di risuonare in ogni pagina.
Sontuosa e al tempo stesso scarna, infinitamente moderna e calzante, la lingua di Deledda si nutre di sospesi e non detti. Verbi puntuali, aggettivi vibranti, che si innestano e crescono nei punti fermi e nelle sospensioni. Una partitura ritmata in grado di stregare come un canto ancestrale.
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Deledda scrive La via del male nel 1896, prima di Elias Portolu, prima di Canne al Vento e di Cenere. Già in quest’opera, la Sardegna diventa archetipo: è la Troade di Omero, la Tebe di Sofocle, il Lazio di Virgilio, luoghi reali, storicamente connotati, ma che si animano di caratteri universali, paradigmatici.
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L’ombra dei lentischi e il grigio riflesso delle pozze si ritrovano nei turbamenti dell’animo e negli occhi brillanti dei suoi pastori, in una continua sinfonia di corrispondenze tra paesaggio e personaggio. Sono luoghi di vendemmie dai sapori pagani, di querce bruciate e di cortili notturni. Un mondo in cui il progresso è percepito lontano e indifferente. Un’età degli eroi, esiodea, in cui la giustizia si guadagna ancora a morsi, e l’amore è una faccenda da gente nata con la camicia di seta.
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Deledda sfrutta una storia apparentemente da romanzo d’appendice per scavare nel profondo, per sondare l’insondabile, dando corpo, muscoli e vene alla scelleratezza, che può farsi strada fomentata dal più puro dei sentimenti.
Una storia in cui bene e male si mischiano indissolubili, come una lega metallica tossica eppur lucentissima. Che brilla ancora. E ancora.
Emilia Agnesa