Dopo aver curato la prefazione di VVV Versi di vizi e virtù, la nostra raccolta di scritti scelti di Trilussa, oggi Cecilia Lavatore ci racconta di più del suo mondo fatto di storie, di rime e di libri.
Cecilia raccontaci il percorso che ti ha portato a diventare un’insegnante, una scrittrice e una performer di Slam Poetry e come si legano tra loro queste anime. Ce n’è una che in te prevale?
Ho iniziato a pubblicare e a esibirmi proprio quando è cominciata la mia carriera di insegnante, ossia tre anni fa. Per questo sono incline a pensare che le tre anime – di prof, di autrice e di perfomer – siano profondamente legate tra loro. Sono compresenti e si alimentano a vicenda nelle mie giornate. Il filo che le unisce è la volontà di comunicare, di essere un tramite e di costruire ponti tra mondi diversi e anche mondi “di versi”. Diciamo che le tre attività che svolgo sono tre declinazioni della mia identità, sono tre modi di esprimermi.
Trovo poesia e ispirazione nelle mie classi, come anche nelle pagine scritte e nei momenti di condivisione con il pubblico. Sia gli studenti che le pagine, come anche gli spettatori, mi richiedono molte energie, direi proprio che mi drenano, e al tempo stesso me le trasmettono: è continuamente un dare e avere, alle volte, specialmente nella scuola, è anche solo dare… e va bene lo stesso. È quando non mi aspetto nulla in cambio che capisco di essere sulla strada giusta.
Prima di fermarmi a Roma, radicarmi e dedicarmi a queste attività ho vissuto all’estero ed esplorato l’Europa per molti anni. Lavoravo nel turismo, ero sempre in viaggio e sognavo di diventare cittadina del mondo, a un certo punto ho capito che il mondo dovevo cercarlo nella forza delle parole, della cultura e dell’Arte, poi quel tipo di cittadinanza sarebbe arrivata.
Per la nostra gioia hai curato la prefazione di VVV Versi di vizi e virtù, la prima raccolta trilussiana di scritti scelti pubblicata da Basalto Edizioni, nella quale accenni al “senso di inadeguatezza che in tanti provano nei confronti della poesia”, eppure gli incontri di Slam Poetry in cui tu stessa ti esibisci hanno un gran seguito. Come è percepito lo strumento poetico oggi e che uso se ne fa?
Intanto, per me è stato motivo di orgoglio poter scrivere una prefazione per la pubblicazione di Basalto Edizioni dedicata all’opera di un poeta della statura di Trilussa.
È stata un’opportunità per riflettere sul ruolo che ancora oggi i suoi versi possono avere nella nostra società e sulla valenza dei messaggi che le sue poesie contengono.
Abbiamo tremendamente bisogno di parole significative oggi, che risuonino dentro di noi e ci raccontino qualcosa di vero sul mistero di esistere. Tanto più c’è caos e rumore e tanto più c’è l’urgenza di setacciare e assimilare il dato poetico dalla materia che ci circonda: un dato che è sintetico e sbalorditivo ed è spiazzante ed è necessario.
Poi a dirla tutta gli incontri di poesia perfomativa hanno effettivamente seguito ma non sappiamo neanche noi bene perché: i miei colleghi e io mettiamo un microfono, ci sono autori che lo usano per dare voce a ciò che scrivono e persone che li ascoltano e semplicemente funziona. La gente se ne torna a casa e sa che si è sentita bene, che si è sentita capita. Sono serate in cui accade qualcosa di speciale e inafferrabile, indicibile, così contemporaneo e postmoderno e anche antichissimo. Condividere la poesia in quel modo vuol dire creare innesti tra sensibilità molteplici, senza un limite netto tra palco e pubblico, con una liquidità tra i margini e i ruoli.
La grande soddisfazione è vedere anche qualche giovanissimo nelle nostre platee, le nuove generazioni sono sempre accusate di essere troppo fragili, nell’ambiente della poesia invece la fragilità non sarà mai un’accusa, anzi sarà sempre una risorsa.
Riguardo all’uso che si fa del verso scritto sono più critica. Con il mondo virtuale, dei social, spesso il valore della poesia rischia di essere banalizzato. I versi appaiono sulle nostre bacheche accanto a invadenti pubblicità e altre stupidaggini, spesso senza un contesto corretto e delle informazioni verificate sulla provenienza. Questo svilisce l’arte. Bisognerebbe tornare a comprare più libri di poesia e dedicare ai versi l’attenzione che meritano, con un rispetto per la storia di chi li ha scritti, con un rispetto per le proprie emozioni e per quelle dei poeti. Bisognerebbe anche inscrivere i versi dentro la cornice delle raccolte e dentro i percorsi che presuppongono. Le scelte che si fanno quando si compongono le sillogi sono esse stesse poesia e produzione artistica, trovo ingeneroso disperdere la potenza della poesia nei post.
Tuttavia, se questo può servire a incuriosire ben venga… certo tanto più è importante il “live” poetico allora nelle serate di perfomance e nei Reading.
Trilussa è sicuramente un poeta che tutti possono leggere, traversale. A suo modo pop, nell’accezione migliore che questo termine assume.
Esiste, secondo te, un filo rosso fra un autore come Trilussa e chi oggi sceglie la Slam Poetry? Sono entrambi orizzonti espressivi che hanno come obiettivo la creazione di una poesia fruibile per tutti, lontana magari da una concezione intellettualistica ed elitaria?
Sulla concezione elitaria e intellettualistica della poesia mi trovate completamente d’accordo.
È importante studiare la disciplina con il rigore artistico e filologico che richiede, è importante che sia parte della ricerca e del dibattito colto e dotto delle nostre aule universitarie e delle nostre Accademie.
Ciononostante occorre ricordare che i poeti spesso sono ben lontani dalle cattedre di chi le studia. Un nome per tutti: Dino Campana.
Non possiamo dimenticare che la poesia è arte e l’arte è libera e democratica e anche ribelle per natura. Nella migliore delle ipotesi rivoluzionaria.
Trilussa può essere certamente in questo senso accostabile agli eventi di poesia perfomativa nell’underground cittadino. Ci basti immaginare il grande poeta romano aggirarsi tra osterie e vicoli, molto più vicino agli ultimi che ai primi, nonostante la sua notorietà, con la sua sola arte nel cuore.
Ciò che è importante è che si conservi la dimensione popolare della poesia perché quella prosaicità ha alimentato e alimenta ancora l’ispirazione dei poeti. A quella dimensione occorre tornare – quando possibile – per continuare a sublimarla e restituirgli contenuto e significato.
La Slam Poetry riporta l’oralità al centro della scena, affiancando la performance alla parola scritta. Uno strumento che attualizza la poesia, la rende contemporanea pur affondando le radici nelle sue origini più pure. Viene infatti immediato il paragone con la poesia classica e gli aedi greci. È questa la sua forza? Far convivere, in un certo senso, passato e presente?
Certamente esiste una continuità tra la tradizione antica dei poeti greci e le declamazioni della poesia contemporanea. In questo senso il Poetry Slam – nato negli Stati Uniti negli anni ‘80 da personalità come Marc Smith e John Cooper Clark – non inventa nulla di nuovo. Raccoglie direi con una certa dignità e un certo estro creativo proprio quell’eredità, portandola nei nostri tempi.
L’oralità della poesia è una forma di rito, lo era nel passato come lo è oggi.
L’aspetto controverso delle Slam è quello della competizione. Io ad esempio ho un rapporto conflittuale con l’idea di ricevere un voto, eppure vista la scarsa capacità di attenzione degli esseri umani nella nostra epoca, l’impegno di dover poi valutare la poesia crea effettivamente una maggiore propensione all’ascolto attivo.
Tu sei calata nel presente per eccellenza, perché come insegnante hai l’onere e il privilegio di stare ogni giorno a contatto con ragazze e ragazzi prevalentemente adolescenti. Qual è il loro rapporto con la letteratura e la poesia? Cosa fa breccia nelle loro teste e nei loro cuori abituati al modello comunicativo dei social media?
Su ogni vostra domanda si potrebbe scrivere un trattato (ride n.d.r.)…
Proverò in sintesi a rispondere dicendo che i giovani oggi hanno grandi difficoltà a sentire le loro emozioni. Ci sono troppe opportunità di fuggire da loro stessi, soprattutto rifugiandosi nel mondo virtuale. Ma la vita reale prima o poi si manifesta e li investe, nel bene e nel male, e spesso sono impreparati a tanta verità.
La letteratura, le materie umanistiche, possono accendere dei campanelli d’allarme in questo senso, possono riaprire dei canali di riflessione e di sensibilità.
Le pagine scritte servono ancora perché contrastano la passività che annichilisce i ragazzi, in questo esubero di stimoli che ricevono, si muovono così tanto da sclerotizzarsi, da finire per immobilizzarsi.
Ho avuto studenti che dopo aver letto alcuni racconti nel libro di Antologia hanno capito di dover chiedere aiuto a uno psicologo, alla loro famiglia. Ho avuto studenti innamorati dei brani letti. Ma queste sono eccezioni, come quelli che vengono alle serate di poesia perfomativa.
La maggior parte dei giorni è una grande fatica avvicinarli all’arte di raccontare. Non ha un’utilità immediata e loro cercano lo scopo, il profitto. Lo dico sia per gli studenti del Professionale dove insegno attualmente sia per quelli delle paritarie dove ho insegnato in precedenza. Classi sociali diametralmente opposte.
I libri che hai pubblicato finora sono raccolte di racconti (Citofonare Morabito – Voci di Corviale, Rogas edizioni 2022, Mia sorella è figlia unica, Red Star Press 2023, Cabaret Decameron, Edda Edizioni 2023 e Rame, materiale per una termo-poetica, Fuorilinea Edizioni 2023), un genere centrale nell’universo editoriale contemporaneo. Cosa ti piace della composizione letteraria breve e perché l’hai scelta come mezzo espressivo?
Rispondo come Carver: “Scrivo racconti perché non ho tempo per un romanzo”. Quando ho letto questa frase ho pensato che forse è lo stesso per me. Tra l’altro Carver per me è un riferimento fondamentale, uno degli autori che più ha influito sul mio stile.
In ogni caso il racconto breve ha il vantaggio di non scoraggiare il lettore, anche il meno abituato, come ad esempio, appunto, i miei studenti. È agile, come piace dire oggi al mondo dell’industria.
Può avere il beneficio dell’immediatezza, della sintesi, dell’impatto a caldo. Ma anticipando la domanda che sicuramente mi farete, il prossimo progetto è quello di un romanzo, una narrazione “a lungo termine”.
Quali sono i tuoi riferimenti letterari, cosa leggi e chi ti è d’ispirazione quando scrivi?
Ultimo libro che ho letto I ragazzi della 56a strada, straordinariamente bello, struggente, mi ha colpito in profondità. Ora sto leggendo I ragazzi dello zoo di Berlino, altro classico del genere che mi interessa, avevo rimandato per anni poiché sapevo essere impegnativo e crudo… in effetti lo è ma merita il suo successo.
Sono onnivora con le mie letture, non riesco a dirvi autori in particolare che considero i miei preferiti. Il genere che preferisco è quello del romanzo di formazione e psicologico e le biografie.
Posso dire anche che di grande ispirazione sono stati l’Ammaniti di Io e te, Ti prendo e ti porto via e Io non ho paura, la Avallone di Acciaio e la Di Pietrantonio di L’Arminuta. Ma anche Carver, Philip Roth, Franzen.
Il libro migliore però è sempre quello che ancora devo leggere.
Progetti per il futuro e dove trovarti.
A settembre con grande felicità sono arrivata finalista alle nazionali di Poetry Slam che si sono svolte al Cinema Fulgor di Rimini, organizzate dalla Lips e dal collettivo ViviDiversi.
È stata una straordinaria e indimenticabile esperienza.
E ora sono in promozione della mia nuova raccolta di prose poetiche e racconti: Rame, materiale per una termo-poetica per Fuorilinea Edizioni.
L’8, 9 e 10 dicembre vi aspettiamo tutti al Teatro Trastevere per lo spettacolo tratto da questo libro, con la regia del direttore dello stabile, Marco Zordan. Con me sul palco la cantautrice La Noce, di ritorno dal MEI di Faenza, rassegna musicale dove è arrivata a esibirsi grazie al premio vinto a Rimini come miglior artista in gara.
Sono molto orgogliosa di lei e del progetto teatrale che stiamo portando avanti insieme.