Elisabetta Mitrani è una scrittrice per bambini e qualcosa di più. È uno specchio in cui si possono riflettere autrici, autori, genitori e non. Un gioco, ma anche una cosa seria.
Ciao Elisabetta, chi sei e perché scrivi libri per bambini?
Rispondo con una punta di solennità cinematografica: sono Elisabetta Mitrani e in me vivono passato, presente e futuro.
Ho scelto, in contrasto con l’usanza che fino a poco tempo fa imponeva la trascrizione dei soli cognomi paterni, di portare il nome e il cognome delle mie nonne – per la precisione il nome di quella materna e il cognome di quella paterna – in omaggio alle antiche donne della mia famiglia. È il mio modo per celebrare le figure che incarnano i ricordi d’infanzia, quelli più sfumati nella memoria eppure ben radicati nell’anima. Qualcosa di buono da mangiare, una storia da ascoltare all’infinito, un abbraccio profumato, il porto franco dopo una marachella. Nonne e nonni sono da preservare e proteggere, come patrimonio dell’umanità, perché fanno bene ai bambini.
In verità ho imparato ad amare la letteratura per l’infanzia da adulta (da bambina leggevo quasi esclusivamente Topolino), quando è nata mia figlia. È lì che sono arrivati in casa i primi albi illustrati. Quindi un po’ per necessità e un po’ per curiosità sono entrata in un mondo del tutto nuovo per me, fatto di libri a volte bellissimi, oggetti realizzati con cura e fantasia, storie universali capaci di coinvolgere chi legge e chi ascolta. Per questo fatico a definire un libro “per bambini”: è anche per loro, non solo per loro.
Sono abituata ai libri, mi piacciono, ma sfogliare un albo illustrato è un’esperienza del tutto diversa, inoltre leggerlo a un bambino è un modo per comunicare, per stare almeno un po’ nello stesso luogo e nello stesso tempo. C’è poi un risvolto pratico da non sottovalutare: un libro ha il potere di distrarre, intrattenere, calmare e, nella migliore delle ipotesi, anche di far addormentare il più instancabile dei fanciulli. Da tutte queste cose insieme è nato il desiderio di scrivere le storie di cui parliamo oggi.
Una bambina, un gatto certosino, un cane dal pelo arruffato. Ci racconti dei tuoi personaggi? Perché li hai scelti?
Quando ero piccola, così tanto da non conservarne memoria, per farmi addormentare mio padre mi raccontava le scorribande di un cane e un gatto, storie con un capo ma – strano a dirsi in questo caso – senza una coda, perché l’obiettivo era che il sonno giungesse ben prima dell’epilogo. Eppure, sebbene nemmeno ricordassi le loro vicende, sono cresciuta con l’idea romantica che mio padre inventasse avventure di cani e gatti solo per me. Molti anni dopo, un giorno in cui i miei genitori erano giunti in veste di nonni per aiutarmi nella gestione di un’implacabile neonata, in un momento di raro e agognato silenzio, ho sentito di nuovo quei nomi – Bulti e Poppi – uscire dalla bocca di mio padre. È stato così che mi è venuta l’idea di scrivere di loro, per fissarli nella memoria da cui avevano rischiato troppe volte di sparire, e di aggiungere la bambina come gesto d’amore nei confronti di mia figlia, con la speranza di farla sentire importante così come era riuscito a fare mio padre con me.
Da lì è stato tutto molto naturale. Bulti il cane rappresenta la fiducia, la protezione, per questo l’ho immaginato grande e peloso, l’amico per eccellenza. Poppi il gatto invece è più malizioso, a tratti vanitoso – in effetti bello come un certosino – e talvolta pungente nei confronti di Memme, una bimba alle prese con le infinite scoperte della vita, in cui ogni giovane essere umano può facilmente immedesimarsi.
Le avventure di Memme, Bulti e Poppi è una saga, e Laggiù nel blu è solo il primo capitolo di una lunga serie di avventure. Ci parli di questo progetto?
Come dicevo, quando ho iniziato a scrivere di questi tre personaggi, le storie sono venute fuori con grande naturalezza, partendo spesso da spunti reali. Nello stesso tempo era per me imprescindibile usare la favola – un patrimonio enorme della nostra cultura – per veicolare un messaggio per i più piccoli. Quindi ogni storia affronta un tema, un quesito, e ogni libro è una scusa per far arrivare un concetto, per provare a spiegare qualcosa che di solito i bambini sperimentano o subiscono nel loro percorso senza avere gli strumenti o senza avvertire la necessità di una decodifica, che talvolta invece può tornare utile, soprattutto quando si parla di differenze, di paura, di vergogna o insicurezza, del giudizio degli altri.
Laggiù nel blu è ambientato principalmente in fondo al mare, lì dove tutto è possibile, un luogo sospeso, da sempre attraente per grandi e piccini, in cui ciascuno può diventare ciò che vuole senza limiti e condizionamenti, come dovrebbe essere nella vita.
Quanto e come il processo creativo che ti ha portato a scrivere è connesso con la tua esperienza di genitorialità e con il tuo vissuto? Quanto c’è di te in tutto questo?
Più che connesso, il processo creativo che mi ha portata a sviluppare questa idea è figlio legittimo della mia esperienza di genitore. Infatti dall’idea iniziale, di cui abbiamo già parlato, la quotidianità con mia figlia mi ha dato la possibilità di definire una moltitudine di dettagli anche pratici che riguardano l’albo illustrato.
Ad esempio ho capito che i bambini amano i libri non solo per le storie che raccontano, ma anche come oggetti in sé, li toccano, li maneggiano facendoli propri. Se fossi un libro amerei sentirmi così desiderato! Per questo l’intera collana ha un formato comodo da sfogliare anche per i più piccoli e che, allo stesso tempo, dà il giusto risalto alle illustrazioni. Ogni albo è pensato per una fascia di età che cambia abitudini, passando da un’esperienza più passiva fino ad approcciarsi autonomamente al libro, motivo per il quale la carta usata è di alta qualità e resistente e i caratteri sono grandi e facilmente leggibili.
Inoltre quello della storia è un momento di condivisione e intimità che vale più di mille parole. Per i bambini il libro da leggere è una scusa perfetta per tenere accanto un genitore, un nonno, un fratello o una sorella più grandi…sentirsi desiderati da un bambino è sempre un privilegio.
Quindi, per rispondere alla domanda, c’è tutto del mio vissuto in questo progetto, che ho voluto fortemente con lo scopo di creare un punto di incontro tra adulti e bambini, che faccia bene a entrambi.
Le avventure di Memme, Bulti e Poppi sono scritte in rima. Qualcuno le chiamerebbe filastrocche. Un modo antico di relazionarsi con i bambini. Allo stesso tempo la scelta delle illustrazioni è molto contemporanea. Come dialogano queste due cose?
I bambini adorano la reiterazione, si fanno leggere o raccontare la stessa storia un’infinità di volte, spesso fino a impararla a memoria. Anche in questo le generazioni precedenti ci avevano visto lungo, tramandando filastrocche e cantilene che restavano nella testa e nelle orecchie per sempre. Un testo con una musicalità, infatti, ha un effetto positivo e rilassante sia su chi ascolta sia su chi legge, perché i primi si incantano e i secondi si affidano alle rime con fiducia.
Se poi vogliamo vedere il lato pratico, le filastrocche sono un tenero viatico per il sonno dei piccoli e aiutano i lettori a memorizzare la storia, che a quel punto può essere declamata anche con in filo di luce per non interrompere il magico momento dell’addormentamento. E se da una parte il testo è volutamente calcolato e misurato, dall’altra le illustrazioni hanno un tratto onirico, poco lezioso e molto evocativo, che regala una suggestione visiva di grande impatto. Trovo che l’insieme sia un connubio perfetto.
Come è stato lavorare con un’illustratrice come Giulia Carioti? Come avete organizzato il lavoro? Su cosa vi siete trovate?
Ricordo che quando ho visto i lavori di Giulia mi ha colpito la sua capacità di raccontare qualcosa di molto chiaro, tracciando anche solo qualche linea. Un’immediatezza comunicativa che mi ha subito conquistata. Il primo passo è stato trovare un terreno d’incontro tra il suo approccio artistico e i Memme, Bulti e Poppi che avevo ben chiari in testa. Per me infatti era importante definire in primis i protagonisti e poi gli elementi che considero essenziali nella realizzazione di un libro destinato ai bambini. Fatto questo, il resto ha preso forma con grande intesa, da una parte io le raccontavo i miei punti di riferimento per spiegare il mondo sottomarino che immaginavo – Pomi d’ottone e manici di scopa di Disney, Big Fish di Tim Burton –, dall’altra Giulia rielaborava le informazioni e realizzava tavole eleganti, fedeli al suo stile e ricche di atmosfera. Si è creata un’ottima collaborazione ed è stato molto emozionante vedere i miei racconti diventare immagini.
Nel tuo curiosare nel mondo dell’editoria per l’infanzia, che scoperte hai fatto? Quali sono le tue case editrici preferite?
L’editoria dedicata ai più piccoli talvolta produce veri capolavori. Ci sono molte case editrici di cui ho apprezzato la qualità delle scelte narrative, delle illustrazioni e dei materiali, tra le prime che mi vengono in mente di sicuro ci sono Kite Edizioni, Lavieri, Babalibri e Il Barbagianni Editore. Tuttavia ora sono curiosa di veder crescere Basalto Edizioni che ringrazio e con cui condivido una prima volta decisamente significativa.