Interviste

Intervista a Giulia Carioti

Giulia Carioti è un’illustratrice professionista che lavora all’Accademia di Belle Arti di Roma. La redazione di Basalto Edizioni è contenta di intervistarla perché ha donato anima e corpo a questo progetto e ha condiviso tanto con noi. È anche per questo le vogliamo molto bene. Non solo perché ha illustrato il nostro primo libro.

Chi è Giulia Carioti? Com’è diventata un’illustratrice?

Sono nata a Roma 37 anni fa, dove vivo con mio marito Luigi e la mia cagnolina Minerva. All’Università ho studiato Architettura alla Facoltà di Valle Giulia, ma dopo la laurea ho sentito che il solo pensiero che una mia linea su un foglio potesse trasformarsi in un edificio, mi terrorizzava!

Così ho deciso di cambiare rotta; ho iniziato a lavorare come assistente in uno studio di illustrazione e ho seguito alcuni corsi, ma a un certo punto ho capito che avevo bisogno di una formazione più seria, sia dal punto di vista tecnico sia artistico. A 29 anni mi sono iscritta, con un po’ di coraggio, al corso di Grafica d’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Roma ed è stata la decisione migliore che potessi prendere.

Non ho più lasciato quel posto, oggi infatti sono assistente all’Accademia e considero un’immensa fortuna lavorare in un luogo bellissimo, tra l’Ara Pacis e Piazza del Popolo, con le finestre delle aule che si affacciano sul Lungotevere. I laboratori sono dei posti magici, dei luoghi di ricerca e condivisione artistica, dove si incontrano fantastici studenti provenienti da ogni parte del mondo.

Nei giorni in cui non vado in Accademia, continuo a disegnare e stampare nel mio piccolo studio nella zona di Balduina.

Il mio percorso fino a qui non è stato lineare, ho provato a seguire strade meno battute cercando la mia, pur rinunciando a volte a rispondere ai richiami di una società che ci vuole produttivi ed efficienti in un unico senso.

Oltre il tuo percorso di studi hai frequentato un master di editoria. Come ti sei trovata?

Durante la pandemia ho voluto cogliere l’opportunità di seguire a distanza un master che sognavo da anni, Ars in Fabula dell’Accademia di Belle Arti di Macerata. È stata un’esperienza molto formativa dal punto di vista professionale, ma anche umano: con i miei colleghi abbiamo formato un gruppo bellissimo e molto unito, nonostante non potessimo incontrarci e provenissimo da tutte le parti d’Italia. Ancora oggi ci sentiamo spesso e ci spalleggiamo nei nostri percorsi professionali.

In un mondo super tecnologico tu disegni a mano. Ci racconti il perché di questa scelta?

La mia non è una presa di posizione ideologica, né retromania né tantomeno snobismo. Per me il disegno è un’attività che ha a che fare con il pensiero e con il corpo e sento il bisogno di usare come strumenti materiali tangibili: carte di diverse grammature e finiture, matite che si consumano, colori che si mescolano come vogliono loro.

Poi chiaramente utilizzo il digitale nella fase finale (scansioni, post-produzione ecc.) che non è altro che uno strumento della contemporaneità che è funzionale al mio lavoro. Però per l’ideazione dell’immagine, fino a ora, non sono mai riuscita a prescindere dalla presenza del foglio di carta.

Quali sono i tuoi illustratori preferiti? C’è qualcuno a cui ti ispiri?

Non sarei quella che sono oggi, se vent’anni fa in una bancarella di libri usati a viale Parioli, non avessi incontrato Saul Steinberg. Sono cresciuta con la Pimpa di Altan, i giochi di Dick Bruna, i libri illustrati da Jean Jacques Sempè e Quentin Blake. Claire Bretecher è stata la mia amica del cuore durante tutta l’adolescenza, Jutta Bauer l’ho scoperta e amata un po’ più tardi. Norman Rockwell resta per me il più inarrivabile. Mentirei se non dicessi che ho un amore spassionato per i film della Disney.

Insomma è una famiglia numerosa, in più c’è tutta la Storia dell’Arte dalla quale attingo sempre e continuamente. Però se devo essere sincera, nel momento esatto in cui faccio un’illustrazione, cerco di dimenticarmi di tutti e immagino di avere davanti soltanto il bambino che mi leggerà.

Quali sono le case editrici per l’infanzia che apprezzi e con cui ti trovi in sintonia?

Da bambina quando sceglievo un libro, nel piano interrato della piccola libreria di quartiere vicino casa, cercavo sempre Gli istrici e il Battello a vapore.

Oggi ho grande ammirazione per quello che ha fatto Rosellina Archinto con Emme Edizioni, ha cambiato il mondo dell’editoria per l’infanzia. Negli ultimi anni ho speso parecchi dei miei soldi comprando i bei libri di Orecchio Acerbo, Topipittori, Corraini. Ho avuto poi la fortuna di partecipare a un workshop nel laboratorio di Else Edizioni a Torpignattara, sono straordinari!

Com’è stato il lavoro per Laggiù nel blu? Come ti sei rapportata con Elisabetta Mitrani?

Quando ho letto il testo di Laggiù nel blu ho subito pensato a mia nipote Matilde, che è una bambina straordinaria e piena di fantasia proprio come Memme, e le ho chiesto di aiutarmi facendo delle pose che avrei poi ripreso nel libro. Era un po’ divertita e un po’ imbarazzata, è stata per me fondamentale.

Ho pensato all’idea dell’immersione, nell’acqua e nel colore, e a quanto da bambini siamo capaci davvero di sprofondare in altri mondi attraverso la fantasia e il gioco. È un po’ quello che si fa quando si disegna: si immagina una propria realtà per cercare di comprendere meglio il mondo che ci circonda.

Elisabetta è stata insieme disponibile ed esigente; aveva delle idee molto precise in testa, ma ha lasciato molto spazio anche alle mie proposte. È una persona che mi è piaciuta da subito, sincera e gentile, la persona ideale con cui lavorare. Entrambe abbiamo messo tanto del nostro cuore in questo progetto. Abbiamo creato un bel dialogo tra testo e illustrazioni e non posso non ringraziare anche Filippo, l’editor, per aver saputo orchestrare perfettamente le nostre due voci.

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